ABBATTIAMO LA STATUA DEL RAZZISTA INDRO MONTANELLI, MA PRIMA…

Povere menti sinistre, poveri mentecatti creati e poi non istruiti ma indottrinati dalla fucina della scuola pubblica italiana. I cosiddetti colti per metà, che come scimmie ammaestrate seguono le gesta di altrettante scimmie ammaestrate decenni prima, i loro genitori, i loro nonni. E che cosa potrebbero mai sapere questi bifolchi fradici dell’ideologia criminale della falce e martello a proposito di un grande giornalista e scrittore quale fu Indro Montanelli. Un uomo dal pensiero libero, capace, critico ogni volta che serviva e con chiunque al punto che non volle mai un guinzagliò al collo. Lui, testimone di quello squallido 29 aprile del 1945 in Piazzale Loreto. Una Piazza disumana che lo stesso compagno comunista e partigiano Ferruccio Parri definì “bassa macelleria messicana”.

Indro Montanelli la descrisse come “un tragico spettacolo offerto da una folla ebbra di sangue” quasi a dipingere la pochezza e la miseria umana di quella gente che ha poi nel tempo partorito figli, nipoti, pronipoti che ancora oggi inneggiano e vorrebbero appendere a testa in giù chiunque li contraddica nella loro putrida utopia di mondo. E sono gli stessi che ignorantemente scendono in piazza oggi, col pugno alzato, aizzati come ieri dalla stessa ideologia malata, perversa che li trasforma in cani rabbiosi. Oggi come giovani rivoluzionari combattono per i diritti delle minoranze, lottano in nome dell’antirazzismo, contro l’omotransfobia e blaterano che in questo mondo di oggi, non c’è spazio per uno come Indro Montanelli che da giovane e in guerra, lontano da casa sposò una ragazzina africana adolescente.

Così ne imbrattano la statua di quel “rosso” che hanno nel cuore, di cui i loro avi vigliacchi hanno le mani fradice del sangue di migliaia di innocenti. Vorrebbero abbatterla per cancellarne per sempre la presenza, il segno semantico di un presunto razzismo di cui egli si sarebbe macchiato. Ma tutto ciò é a dir poco patetico, soprattutto se detto da chi scende in piazza indossando la maglietta del Che Guevara. Sfoggiando bandiere di Che Guevara in segno di pace e amore o peggio in tutela dei diritti dei più deboli, dei neri, degli omosessuali.

Tuttavia io vi dico che se si vuole veramente abbattere tutto ciò che rientra nella presunta categoria del male che i DEM ci indicano, allora bisogna guardare bene anche in casa propria prima di puntare il dito sulla casa altrui.

E allora facciamolo se lo riteniamo giusto, cancelliamo Indro Montanelli, reputiamolo un mostro perché era un razzista, ma cancelliamo anche quei falsi miti che ignorantemente sfoggiate ad ogni occasione nelle piazze o sui diari di scuola. Perché la storia va letta sempre per intero, ripeto, sempre, anche quando non vi piace.

Ricordatevi dunque chi era Che Guevara!

Ricordate che era uno stalinista convinto, ossia uno dei discepoli di colui che fu tra i più grandi criminali della storia e artefice delle mostruosità più disumane contro l’umanità forse addirittura peggio di Adolf Hitler.

Ricordatevi di queste parole che Guevara pronuncio nel 1959, subito dopo che la Revolución trionfò all’Avana:

“Ho giurato davanti a una fotografia del vecchio e compianto compagno Stalin che non avrò riposo fino a che non vedrò annientare queste piovre capitaliste!”

E poi ancora nel 1964 all’ONU:

“sì abbiamo fucilato, fuciliamo e fino a quando necessario fucileremo ancora perché la nostra è una lotta alla morte”.

Altra frase attribuita al Che Guevara assai meno nota pronunciata poco più tardi:

“come puoi tenere il libro di questo finocchio in ambasciata?”.

La pronunciò nel 1965, in visita nella sede diplomatica cubana di Algeri, Guevara si rivolse al suo ambasciatore quando vide la summa “Teatro Completo” del poeta e drammaturgo Virgilio Piñera. L’episodio, raccontato dal vincitore del Premio Cervantes Guillermo Cabrera Infante nel suo “Mi Cuba”, offre un’idea lucida dell’odio di Guevara verso gli omosessuali. Guevara era il perfetto stereotipo di omotransfobico e questo non potete ignorarlo se non potete ignorare che Montanelli sposo una ragazzina che in quei luoghi e in quei tempi era legittimo prendere in moglie.

Fu proprio l’idolo della sinistra rivoluzionaria che oggi utilizzate per difende i diritti degli omosessuali e del popolo afroamericano ad istituire, nel 1960, il primo campo di lavori forzati a Cuba per gay, nella regione orientale di Guanahacabibes, all’entrata del quale c’era scritto “Il lavoro vi renderà uomini”. Le mostruosità che accaddero in quel campo farebbero impallidire anche il più efferato nazista.

E lì, come lo stesso Che Guevara spiegò nel 1962, “ci mandiamo chi ha commesso peccati contro la morale rivoluzionaria”. Ovvero gay, trans e lesbiche, cioè tutti coloro che non rientravano nel modello dell’uomo nuovo proposto dal Che, uno dei più convinti leader omotransfobici dell’epoca.

E badate bene che non sono invenzioni mie, lo trovate scritto nero su bianco nel saggio Emilio Bejel dal titolo “Gay Cuban Nation”.

E sarebbe bene rammentarvi anche quel tragico periodo in cui il Che Guevara un po’ come ha voluto fare Di Maio assunse due cariche importanti contemporaneamente. Divenne infatti presidente della Banca Centrale di Cuba e ministro dell’industria, tra 1959 e 1963.

Espresse teorie che lascerebbero di stucco i vostri cari e ricchi parenti sindacalisti di oggi.

Disse queste parole:

“compagni, non è corretto aumentare lo stipendio di chi lavora di più, ma piuttosto tagliare quelli di chi produce meno” ed il fatto che “è essenziale rimanere nelle fabbriche durante le ferie anche senza guadagnare nulla in più”.

L’opera propagandistica di Giangiacomo Feltrinelli unita all’ignoranza vostra vi ha portati a credere che quella patetica foto che portate sulle magliette raffigurante il Che Guevara col basco (foto attribuita a Peter Korda), possa rappresentare un simbolo di lotta per la libertà al fine di raggiungere la pace, l’icona dello slogan “fate l’amore, non fate la guerra”.

Arrivate maldestramente ad associarlo a Gandhi o ad una Madre Teresa sulle barricate del Maggio francese e nelle marce contro la guerra in Vietnam, ma la realtà ragazzi é molto diversa da quella che vi siete creati in testa.

Pochi di voi sanno infatti che, ad oggi, il Progetto Verità e Memoria di Archivio Cuba ha dimostrato e provato ben 144 omicidi efferati commessi direttamente da Che Guevara. Tra le sue vittime figuravano compagni di guerriglia, poliziotti uccisi di fronte ai figlioletti, ragazzini e decine di oppositori politici fucilati nel Forte della Cabaña, fatti fuori al paredón, da Guevara in persona.

A voi popolo di sardine cerebro-lese che vi indignate per “l’odio” generato dal populismo, a voi radical chic del politicamente corretto, vorrei ricordare che il vostro idolo era campione nell’odiare il prossimo.

É infatti proprio il vostro Che Guevara a metterlo, nero su bianco, nella sua autobiografia Textos Políticos.

Proprio lui scrive queste tristi parole che potete verificare voi stessi sul testo segnalato qualche riga più sopra:

“l’odio come fattore di lotta, l’odio intransigente contro il nemico che spinge oltre i limiti naturali dell’uomo e lo trasforma in una, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere”.

A voi mentecatti che idolatrate questo porco criminale ponendolo spesso allo stesso livello di uomini del calibro di Malcom X e Martin Luther King, sfoggiandone l’immagine anche quando vi volete rendere partecipi del movimento che difende i diritti degli afroamericani Black Lives Matter, vorrei ricordarvi che il Che Guevara era il segno semantico del vero razzismo contro le persone di colore. Il suo razzismo é testimoniato dai suoi “Diari della Motocicletta” che sono qualcosa a mio avviso di ben più grave di quanto si vede nel film Via Col vento.

Rammentatevi di quando il Che Guevara era in Venezuela. Se non lo rammentate ve lo rammento io. Scriveva queste parole:

“I negri hanno mantenuto la loro purezza razionale grazie alla scarsa abitudine che hanno di farsi il bagno”.

Qualche tempo dopo, in Brasile, comparando portoghesi e coloured, è sempre lui il Che Guevara a scrivere queste parole:

“il disprezzo e la povertà li unisce nella lotta quotidiana ma il modo di affrontare la vita li separa totalmente: il negro, indolente e sognatore, spende i suoi soldi per qualsiasi sciocchezza, l’europeo ha invece una tradizione di lavoro e risparmio”.

E ora cari mentecatti lo ripeto. Io ci sto ad aiutarvi! Tiriamo giù la statua di Indro Montanelli perché dobbiamo ad ogni costo definirlo razzista, ma per farlo, prima, bisogna bruciare tutto ciò che riguarda il Che Guevara. Se si vuole combattere il razzismo e cancellarlo dalla faccia della terra, allora non possiamo cancellarlo solo dalla parte dove ci fa più comodo. Bisogna cancellare tutto o si perde in credibilità!

E voi già ne avete veramente poca! Consiglio mio, prima di pensare a proteggere altri, provate a proteggere voi stessi dalla vostra ignoranza.

Italia Moli

#IoSonoItalia🇮🇹

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